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PIETRO BRUNETTI

MANDURIA tra storia e leggenda dalle origini ai giorni nostri.

La storia che solitamente chiamiamo locale, in contrapposizione a quella universitaria e dotta, alla fine del XIX e nei primi decenni del XX secolo ha acquisito un suo ruolo nel panorama storiografico.
Il fenomeno non si verificò solo in alcuni paesi e tanto meno fu legato alla produzione scientifica di alcuni ricercatori. Si tratta piuttosto di un profondo fenomeno culturale che si verifica in tutta Europa, legato non solo alla diffusione dell'alfabetizzazione e del sapere a tutti i livelli della borghesia locale, urbana o rurale, e poi alle classi più umili della popolazione, ma anche alla coscienza delle profonde trasformazioni storiche, economiche, sociali e politiche che hanno interessato il continente europeo.
Il "vecchio continente" vede così sparire i suoi "anciens régimes", gli antichi casati, gli antichi codici legislativi... a beneficio dei nuovi sistemi democratici. Sicché l'interesse per un mondo che va sparendo, talvolta fatto anche di nostalgia per il passato, diventa un interesse generale e produce dei lavori ancora oggi fondamentali. Per quanto riguarda la Puglia, citerò tra i tanti, lo studio di L. Pepe, intitolato Storia della città di Ostuni dal 1458 al 7639, pubblicato nel 1891.
Conseguentemente si stabilisce una relazione forte e feconda con la storia accademica che, in questo fiorire di scritti locali, di pubblicazione di cronache, di descrizioni di fatti storici precisi e di grande significato culturale, trova preziose indicazioni per un rinnovamento profondo delle sue problematiche, spesso mummificate dalla sterile tradizione di un approccio politico e diplomatico tagliato fuori dalla realtà profonda della società.
Certo, la "scuola degli Annali" in Francia deve molto all'influsso culturale tedesco, ma molto deve anche al lavoro straordinario d'inventario e regesto fatto dagli archivisti locali e alla produzione eccezionale di storie locali verificatasi fino agli anni '30 del secolo scorso.
Tuttavia, un po' dappertutto è anche accaduto che questa "storia locale" si sia progressivamente marginalizzata per essersi spesso limitata a racconti ripetitivi dei fatti salienti di una regione, di una comunità, di una famiglia, di un personaggio, in quanto gli autori si copiavano tra di loro, disinteressandosi o considerando in maniera distaccata e lontana il problema della comprensione, dell'organizzazione e del funzionamento del tessuto politico, sociale ed economico vivo, tessuto che costituisce il supporto non solo di una società e di una cultura locale vivace o scialba che sia, a seconda dei casi, ma anche di una società nazionale o internazionale. Certo, qua e là ci sono anche stati studi brillanti, spesso d'altronde passati inosservati, che hanno interrotto questo cammino a ritroso, ma nel complesso, è venuto meno l'interesse per un approccio perspicace e metodologie riconsiderate, per l'utilizzo di fonti fino ad allora trascurate, per l'elaborazione di dati che permettessero di affrontare nuovi problemi.
Il legame con la storia dotta si era purtroppo spezzato a detrimento di questa. Basti sottolineare a questo proposito, che orientamenti mirati all'analisi, come quelli fondati sulla microstoria, oggi non trovano molto sostegno e rispondenza nel lavoro degli storici locali. E questo legame forte e fecondo tra storia locale e storia dotta che, credo, bisogna ricostruire. Questa operazione passa attraverso una presenza effettiva e un'azione culturale degli storici universitari sul terreno e attraverso una ripresa effettiva e seria degli studi locali, fondati innanzitutto su un ritorno alle fonti (archeologiche, di archivio, orali); la qual cosa necessita, a sua volta, di preservare le fonti stesse, inventariarle e metterle a disposizione dei ricercatori: un aspetto, questo, sul quale le autorità locali - Comuni e Regioni - possono svolgere un ruolo fondamentale.
In questa direzione, da alcuni decenni a questa parte, fortunatamente non mancano i segni di ripresa. Solo per fare un riferimento a Manduria, gli ottimi lavori di Gianni Jacovelli su Manduria nel secolo XVI, di Antonio Pasanisi sulla demografia e l'economia di Manduria nel secolo XVIII, di Maria Alfonzetti e Michelino Fistetto sui notai di Manduria nel secolo XVI e il regesto dei loro atti, evidenziano una ripresa che va in direzione della valorizzazione delle nuove fonti e la comprensione di un tessuto sociale profondo. Nel contempo, la riscoperta degli archivi della famiglia Imperiale depositati alla fine del secolo XVIII negli archivi centrali di Napoli e quella del Librone Magno, hanno fatto di Manduria un terreno privilegiato, anzi unico, tanto è eccezionale quest'ultimo documento, ricco di esperienze di microstoria locale.
Il libro che qui ci propone Pietro Brunetti si colloca anch'esso nel solco di questo rinnovamento; non però attraverso uno studio circostanziato e specifico, ma, rifacendosi a lavori antichi e recenti, propone una sintesi della storia generale di Manduria che non era stata ancora scritta. L'impresa è stata difficile e certamente rischiosa. Lunghi periodi storici erano e restano oscuri per mancanza di fonti: a Manduria, come in molti altri centri dell'Italia meridionale, ha molto influito l'assenza di archivi comunali che risalissero ai periodi precedenti le riforme napoleoniche dell'inizio del secolo XIX. Viceversa, fonti importanti sono ancora tutte da esplorare (v. i già citati archivi Imperiale, ma anche gli archivi diocesani di Oria, gli atti dei notai... e, naturalmente, l'archivio di Stato di Napoli che, malgrado le distruzioni dell'ultima guerra, dispone ancora di considerevoli risorse.
Il pericolo, dunque, era che miti e falsi storici, spesso difficili da individuare, smontare ed espungere, sono disseminati lungo il corso della storia.
Questo lungo e delicato lavoro di critica interna, selezione, complemento, riposizionamento e reinterpretazione dei fatti diventa essenziale, in quanto costituisce il solo fondamento a partire dal quale altre problematiche ed altre ricerche possono scaturire ed essere elaborate; ecco perché bisogna ringraziare Pietro Brunetti per aver compiuto questo percorso con curiosità, passione, serietà e lucidità. E tuttavia l'autore non si è limitato a ricomporre un puzzle, stante la disponibilità dei vari pezzi; ma, mettendo insieme dati e interpretazioni vecchi e nuovi e senza trascurarne gli apporti più positivi, ha saputo affrancarsi da quella esposizione storica ripetitiva di cui parlavo prima, per sollevare altre questioni, per presentare ed esplorare altri campi, per suggerire altre problematiche. La famiglia, i rapporti di produzione tra il feudatario, i proprietari ed i braccianti, i rapporti giuridici ed istituzionali tra le diverse classi sociali, i mescolamenti sociali, le ramificazioni del potere, le "regole" e rituali che presiedono all'organizzazione politica e alle stesse lotte politiche, trovano qui tutto il loro spazio nella storia straordinariamente complessa e in continuo mutamento di una comunità locale che parla per tante altre comunità, senza tuttavia essere uguale a nessuna di esse.
In questa storia generale, che si svolge dai tempi storici più antichi fino ai nostri giorni, Pietro Brunetti ha saputo confrontarsi con le tematiche più diverse e talvolta anche le più specialistiche, sia che parli delle migrazioni indo-europee, sia che parli dei rapporti di parentela ed alleanze. Egli fa ricorso all'archeologia, alla storia, all'economia, all'antropologia e alla linguistica, non solo semplicemente nel tentativo di dipanare e chiarire i fili di una successione di eventi "importanti" o di sistemi di relazioni sociali, ma anche per misurarne, diacronicamente, l'impatto o le modalità di cambiamento.
È dall'incrocio di tutte le indicazioni derivate da orizzonti diversi con gli interrogativi sollevati dalle diverse scienze umane e spesso ripiegatisi su se stessi, che derivano le suggestioni, che sorgono le questioni, che affiorano progetti di nuove ricerche. La storia di Manduria che ci propone Pietro Brunetti, pertanto, non è né definitiva, né esaustiva; essa è aperta e foriera di nuove elaborazioni, e questo non è certo il minore dei meriti dell'autore.

Gerard Délille  CNRS - EHESS – Parigi

   

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