Senza nome 2
INTERVENTO DI ILARIA PECORARO
ARCHITETTURA MANDURIANA: FRA SPOLIA E PRODUZIONE DI ETA’ MODERNA Fotografare un
monumento è come aprire il sipario sul palcoscenico di un territorio,
urbanizzato o rurale che sia. In quel frangente le opere architettoniche
diventano testimonianza materiale, avente valore di civiltà. In silenzio,
hic et
nunc, la fotografia cattura la valenza estetica di un’opera architettonica,
privilegiando criticamente ora l’uno ora l’altro particolare punto di vista. In
tal modo la fotografia fissa sulla pellicola, analogica o digitale che sia, quel
momento storico e quella specifica epifania dell’immagine: l’aspetto con il
quale l’opera artistica si manifesta all’occhio dell’osservatore, attraverso
l’elaborazione o la rielaborazione di una materia prima: la pietra, la tela o il
legno. Quest’operazione è il frutto di una valutazione estremamente
critico-selettiva, in cui, attraverso la macchina fotografica, si descrivono gli
aspetti estetici e materiali, cromatici e formali, oltre che tipologici e
quantitativi di un manufatto, con l’intento di testimoniare la produzione
artistica di quel momento storico in uno specifico contesto geografico. Ma la
sua funzione non si esaurisce solo in questo. La muta ripresa fotografica
diviene testimonianza preziosissima per la storia della cultura di un popolo e,
al contempo, strumento di comunicazione non verbale ma visiva e di conoscenza
della produzione architettonica monumentale. Questo mezzo di conoscenza si fa
anche strumento di comunicazione, perché consente all’osservatore distratto e
superficiale di guardare oltre i contorni degli oggetti e di cogliere quei
caratteri formali e sostanziali che si celano dietro un puttino lavorato a
bassorilievo o una colonna scanalata o al di là degli spolia di cui la città di
Manduria è ricchissima. L’opera d’arte, nella sua duplice valenza storica ed
estetica, trova nella fotografia modi nuovi e al contempo antichi di espressione
e di trasmissione di un messaggio culturale in senso lato. Inoltre, aiuta
l’osservatore, lo studioso come l’uomo comune, a riflettere sui suoi contenuti,
in quanto consente a più riprese e nel tempo di tornare a osservare l’immagine
rappresentata. Infine, la fotografia si fa testimonianza dello stato di
conservazione di un manufatto in un preciso momento storico e, pertanto, diviene
strumento attraverso il quale compiere attività di monitoraggio diagnostico per
valutare lo stato di salute dell’opera d’arte stessa. A tal proposito, la
pubblicazione di Giulia Selvaggi è il risultato condensato di tutti questi
pensieri, che non vengono espressi verbalmente, ma che, sottesi nel titolo del
testo e dei suoi paragrafi, invoglia il lettore-osservatore, a soffermarsi sul
contenuto materiale di quanto ripreso, a recarsi di persona dinanzi l’opera
architettonica ivi rappresentata, per assaporarne dal vivo la testimonianza di
civiltà e di storia di cui i monumenti di Manduria si fanno portavoce. 2/2
Questa terra, oggetto di un personale e recente studio sull’uso degli spolia in
età moderna, pare sia sorta e si sia sviluppata adottando il criterio della
sedimentazione stratificata nei secoli di differenti linguaggi culturali e
artistici, che hanno impiegato materiale antico per edificare monumenti moderni.
Ci si riferisce, ad esempio, al caso emblematico caratterizzante la Collegiata
di Manduria, che riusa i due leoni normanni nella nuova facciata cinquecentesca,
così come avviene contemporaneamente nella vicina Oria dinanzi all’ingresso del
palazzo vescovile. L’opera compiuta da Giulia Selvaggi nel 2007 per il centro
storico di Manduria, mi sembra richiamare alla memoria quanto avvenne nel
lontano 1960 ad opera del famoso attore leccese Carmelo Bene, allorquando, per
la prima volta egli intitola “Barocco Leccese” il suo cortometraggio, presentato
ad un concorso nazionale a Roma. Questo termine, oggi entrato a far parte della
letteratura specialistica, è stato fino a ieri ignorato o caricato di valenze
negative dai critici e dagli storici di fama nazionale. Come Carmelo Bene ha il
merito di aver per la prima volta ‘acceso i riflettori’ sulle bellezze
architettoniche e artistiche leccesi, a tal punto da invogliare critici e
storici d’arte oltre che teorici del restauro come Cesare Brandi a recarsi in
Lecce negli anni sessanta del XX secolo e a osservare dal vivo le meraviglie ivi
presenti, allo stesso modo oggi Giulia Selvaggi consegna alla collettività
manduriana questa raccolta di splendide riprese fotografiche. L’obiettivo di
questo lavoro è a mio avviso quello di promuovere e di far fiorire nuove
sensibilità nei confronti della conoscenza del patrimonio culturale di cui
Manduria è ricca e, di riflesso, nei confronti delle problematiche connesse alla
sua conservazione e alla sua tutela. Infatti, non si deve trascurare che non è
possibile conservare un oggetto ‘di arte e di storia’, né tramandarlo alle
future generazioni, se, ignorandone l’esistenza, non vi si riconosca in esso un
intrinseco valore storico ed estetico. Ci si auspica che il testo di Giulia
Selvaggi, unico e originale, possa promuovere una profonda riflessione sul
valore dei beni architettonici manduriani, al fine di attivare processi
integrati di progettazione, votati al minimo intervento, con il supporto di
politiche di fruizione e di gestione compatibili con la preesistenza, oltre che
rispettose del valore storico ed estetico di cui ogni monumento è sempre un
insigne portavoce.
Ilaria Pecoraro nata a Ostuni (BR) è
architetto. Specialista in restauro di monumenti architettonici. Docente in
storia delle tecniche costruttive e principi di conservazione all'Università
<<La Sapienza>> di Roma. Docente in restauro e storia nelle tecniche
all'Università di Bari-Beni culturali. Studia produzione architettonica del
Salento in generale.
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